Diritti

Diritti umani, Amnesty: si teme che l’AI venga usata come arma “per discriminare e disinformare”

Il rapporto della Ong, che ha preso in analisi 155 Stati, denuncia “clamorose violazioni da parte dei governi e dei gruppi economici”, con la paura che l’intelligenza artificiale venga sfruttata “in un anno elettorale importante”
Credit: Azamat Zhanisov
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 9 min lettura
24 aprile 2024 Aggiornato alle 12:00

Ci troviamo in un “momento spartiacque per il diritto internazionale”, caratterizzato da “clamorose violazioni da parte dei governi e dei gruppi economici”. A lanciare l’allarme è Amnesty International, che ha presentato il Rapporto 2023-2024 sulla situazione dei diritti umani in 155 Paesi del mondo: l’organizzazione non governativa internazionale spiega che “il mondo sta raccogliendo i frutti delle terribili conseguenze dell’escalation dei conflitti e del quasi totale collasso del diritto internazionale”.

“Non mi sarei mai aspettata che parlare dello stato dei diritti umani mi portasse a menzionare il film di fantascienza degli anni Ottanta Ritorno al futuro - scrive nella prefazione del rapporto Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International - Eppure, eccoci qui. Un mondo che si muove a spirale nel tempo, sfrecciando all’indietro rispetto alla promessa dei diritti umani universali del 1948, nonostante dall’altro lato si stia proiettando sempre più velocemente in un futuro dominato dalle Big Tech e da un’intelligenza artificiale generativa senza regolamentazione”.

Amnesty presenta “un fosco quadro di repressione dei diritti umani e di prolifica violazione delle regole internazionali proprio mentre la disuguaglianza globale si acuisce, le superpotenze gareggiano per la supremazia e il cambiamento climatico è in aumento”.

Il Rapporto 2023-2024 di Amnesty International

Il nuovo rapporto, pubblicato in Italia da Infinito Edizioni, denuncia il ritorno a “un’era priva di un’efficace supremazia del diritto internazionale e le popolazioni civili coinvolte nei conflitti ne pagano il prezzo più alto”. Amnesty punta il dito contro Israele e il suo “clamoroso disprezzo per il diritto internazionale”, a cui si associa “l’atteggiamento dei suoi alleati, che non riescono a fermare l’indescrivibile bagno di sangue nella Striscia di Gaza” e che “furono gli architetti del sistema giuridico internazionale successivo alla Seconda guerra mondiale”.

La mancanza di azione della comunità internazionale nel proteggere migliaia di civili, “tra i quali una percentuale di minorenni orribilmente alta”, è “sconcertante”. Dal conflitto in corso, “che non mostra segnali di fine, […] continuano ad arrivare prove di crimini di guerra. Dopo gli orrendi attacchi di Hamas e di altri gruppi armati del 7 ottobre, le autorità israeliane hanno avviato incessanti attacchi aerei contro aree civili spesso spazzando via famiglie intere, causando il trasferimento forzato di 1,9 milioni di palestinesi e limitando, nonostante l’avanzare della carestia nella Striscia di Gaza, l’accesso agli aiuti umanitari, disperatamente necessari”.

Il rapporto definisce “sfacciato” l’uso del potere di veto, da parte degli Stati Uniti, “per paralizzare per mesi il Consiglio di sicurezza su un’assai necessaria risoluzione per il cessate il fuoco”, mentre continuano a fornire armi e munizioni a Israele. Sotto accusa sono anche “i grotteschi doppi standard di Stati europei come Germania e Regno Unito, che hanno giustamente protestato contro i crimini di guerra della Russia e di Hamas ma contemporaneamente hanno rafforzato l’operato di Israele e il ruolo delle autorità statunitensi nel conflitto in Medio Oriente”.

Il rapporto documenta anche la “perdurante aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina, il crescente numero di conflitti armati, le massicce violazioni dei diritti umani che hanno luogo, per esempio, in Sudan, Etiopia e Myanmar”: tutte queste violenze dimostrano che “l’ordine mondiale basato sul diritto è sul punto di crollare”, spiega Callamard. L’azione di molti “potenti Stati […] ha compromesso l’ordine mondiale basato sul diritto, stabilito per la prima volta nel 1945”.

Una situazione che rischia di intensificarsi a causa dell’uso, “privo di controlli, di tecnologie vecchie e nuove che sono ora regolarmente impiegate come armi da attori militari, politici ed economici”, con “le piattaforme di Big Tech” che “alimentano conflitti”. Gli spyware, l’AI generativa, il riconoscimento facciale e altri strumenti di sorveglianza di massa vengono usati per “usurpare i diritti e le libertà fondamentali, mentre i governi sviluppano strumenti automatizzati per prendere di mira i gruppi più marginalizzati all’interno delle loro società”, continua Callamard.

In Argentina, Brasile, India e Regno Unito i Governi fanno sempre più ricorso alle tecnologie di riconoscimento facciale “per controllare le proteste di piazza così come gli eventi sportivi e per discriminare le comunità marginalizzate, soprattutto le persone migranti e rifugiate”, come accaduto a New York con le proteste del movimento Black Lives Matter.

Amnesty pone l’accento anche sull’intelligenza artificiale, “lasciata libera di creare terreno fertile per razzismo, discriminazione e divisione in un anno importante dal punto di vista elettorale”: quest’anno, infatti, si tengono oltre 50 elezioni nel mondo, gli elettori ed elettrici si recheranno alle urne in 76 Paesi. Tra il 6 e il 9 giugno 400 milioni di persone saranno chiamate a votare per eleggere il nuovo Parlamento europeo, in quella che è considerata la più grande elezione democratica al mondo. Oltreoceano i cittadini e le cittadine americanə aventi diritto di voto dovranno scegliere il prossimo Presidente degli Stati Uniti d’America.

“Un piccolo segnale di azione da parte dei politici europei è stata l’adozione, nel febbraio 2024, del Digital Service Act che, sebbene incompleto e imperfetto, ha avuto il merito di sviluppare un dibattito quanto mai necessario sulla regolamentazione dell’intelligenza artificiale”. Tuttavia, i “loschi sviluppi tecnologici privi di regole pongono un’enorme minaccia davanti a noi. Possono essere usati come armi per discriminare, disinformare e dividere”, avverte Callamard, e “il mondo rischia un sovraccarico” di violazioni dei diritti umani se non verranno regolamentati.

La situazione dei diritti umani in Italia

In Italia, nel corso del 2023, sono state registrate “nuove segnalazioni di tortura e altro maltrattamento da parte di agenti carcerari e di polizia”, “restrizioni sproporzionate” che hanno colpito gli attivisti per la giustizia climatica, “livelli inaccettabilmente elevati” di violenza di genere, limitazioni all’accesso all’asilo, “anche attraverso misure illegali”, difficoltà nell’accesso all’aborto in alcune parti del Paese.

In varie parti del Paese, tra cui Verona e Biella (di recente anche nell’Istituto Penale minorile Cesare Beccaria di Milano), decine di agenti di polizia sono stati sospesi, indagati o posti agli arresti domiciliari per maltrattamenti nei confronti dei detenuti. Nel 2023, “in alcune occasioni, la polizia ha fatto uso eccessivo della forza contro chi aveva partecipato alle manifestazioni. A luglio, in Piemonte, durante una protesta in gran parte pacifica contro un progetto di ferrovia ad alta velocità, la polizia ha fatto un uso non necessario e indiscriminato di gas lacrimogeni”.

Per quanto riguarda la violenza di genere, l’anno scorso “si sono verificati 97 omicidi di donne in episodi di violenza domestica; di queste, 64 sono state uccise dai loro partner attuali o ex”. Dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin per mano del suo ex fidanzato, a novembre, “sono state proposte misure di protezione rafforzate per prevenire le aggressioni”, e il mese successivo la Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha criticato la carenza di rifugi per le donne vittime di violenza di genere e la scarsità di fondi per chi fornisce loro servizi. Il Parlamento italiano, denuncia Amnesty, “non è riuscito ad allineare le leggi sullo stupro alla Convenzione di Istanbul”.

Sui diritti riproduttivi, “in diverse regioni sono perdurati ostacoli per accedere all’aborto, soprattutto a causa dell’elevato numero di medici e operatori sanitari che si rifiutano di fornire cure abortive” e si è registrata una “proliferazione di progetti di legge nazionali e regionali incentrati sulla protezione del feto”. Ieri il Senato ha dato il via libera alla norma che dà la possibilità alle Regioni di “avvalersi anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità all’interno dei consultori.

Non solo chi partorisce, ma anche chi è nato in Italia subisce discriminazioni: chi ha genitori stranieri viene privato di un effettivo accesso alla cittadinanza, “con il risultato che oltre un milione di minori subisce discriminazioni nell’accesso ai diritti”.

Sui diritti delle persone rifugiate e migranti, Amnesty ricorda la notte di febbraio in cui almeno 94 persone, tra cui 34 bambini, sono annegate vicino alla spiaggia di Steccato di Cutro, in Calabria, nelle acque territoriali italiane. Le indagini per indagare le responsabilità dell’accaduto sono ancora in corso. Intanto, “le Ong che soccorrono le persone in mare sono rimaste soggette a obblighi non necessari, tra cui quello di richiedere un porto per lo sbarco e di recarvisi immediatamente dopo ogni salvataggio, limitando la possibilità di salvare più persone in un’unica operazione”. Alcune hanno dovuto percorrere oltre 1.000 chilometri per raggiungere i porti assegnati per lo sbarco.

Le buone notizie sui diritti umani del 2023

Di fronte a tutto questo, però, “c’è una mobilitazione popolare senza precedenti per chiedere protezione dei diritti umani e rispetto per la nostra comune umanità”: il conflitto tra Israele e Hamas ha generato proteste in ogni parte del mondo, per chiedere il cessate il fuoco; negli Usa, in Polonia e in El Salvador, le persone sono scese in strada per rivendicare il diritto all’aborto; le manifestazioni di Fridays for Future hanno attirato nuovi giovani.

E il 2023 ha segnato anche delle vittorie significative per i diritti umani: a Taiwan, grazie alle proteste del movimento #MeToo, il Governo ha emendato la Legge sulla prevenzione del crimine di aggressione sessuale; alla Cop28, per la prima volta, i combustibili fossili sono stati menzionati nel documento finale; in Afghanistan l’attivista per il diritto allo studio Matiullah Wesa è stato scarcerato dopo 7 mesi; in Bahrein, a maggio, il Parlamento ha abolito l’articolo 353 del codice penale che esonerava dalla condanna gli stupratori che avessero sposato la loro vittima.

E ancora: in Egitto l’attivista Patrick Zaki, condannato a 3 anni di carcere per “diffusione di notizie false”, è stato graziato dal presidente Abdelfattah al-Sisi. In Messico la Corte suprema federale ha stabilito che “il sistema legale che criminalizza l’aborto nel codice penale federale è incostituzionale in quanto viola il diritto delle persone a prendere decisioni autonome sulla gestazione”. E nelle Mauritius la Corte suprema ha dichiarato incostituzionale un articolo del codice penale risalente al 1898, che puniva le relazioni sessuali tra adulti dello stesso sesso con pene fino a 5 anni di carcere.

Secondo Callamard, però, “occorrono misure urgenti per rivitalizzare e rinnovare le istituzioni internazionali create per tutelare l’umanità”. È necessario “riformare il Consiglio di sicurezza dell’Onu”, e in particolare il potere di veto, e i Governi “devono anche adottare robuste regole e legislazioni per affrontare i rischi e i danni causati dalle tecnologie dell’intelligenza artificiale e riprendere le redini di Big Tech”.

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