Ambiente

Peste suina: cinghiali a rischio abbattimento per salvare i prosciutti

Le imprese in Friuli Venezia-Giulia ed Emilia-Romagna temono che il contagio si diffonda negli allevamenti, con conseguenze economiche sulle produzioni
Credit: Tim Schmidbauer  

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24 aprile 2024 Aggiornato alle 19:00

La peste suina africana (Psa) affligge l’Italia da due anni e ora si fa sentire, per esempio, nell’ambito della produzione del prosciutto di Parma. Contro i cinghiali c’è chi invoca l’esercito e chi l’abbattimento di migliaia di esemplari, come valuta di fare il Friuli Venezia Giulia, in pensiero per il famoso salume di San Daniele.

Che cos’è la peste suina africana

Si tratta di una malattia virale degli ungulati, che è assolutamente innocua per l’uomo perché non è trasmissibile alle persone ma è altamente letale per i maiali: i ceppi più aggressivi del virus portano gli animali al decesso entro 10 giorni dall’insorgenza dei primi sintomi.

Non esistono né vaccini né cure e l’elevata capacità di diffusione della patologia comporta conseguenze economiche importanti per il settore suinicolo. Il problema è monitorato dal Ministero della Salute: l’Italia adotta dal 2020 annualmente un Piano nazionale di Sorveglianza della Psa, approvato e cofinanziato dalla Comunità europea, e ha un commissario straordinario che si occupa della questione.

Qualche mese fa, a esempio, nel Pavese è scoppiato un focolaio di peste suina africana

La zona e la produzione di Parma

«In provincia di Parma i primi casi sono stati registrati all’inizio del 2024 ed è di alcuni giorni fa la notizia relativa al rinvenimento di una carcassa di cinghiale risultata positiva alla Psa nel Comune di Varano de’ Melegari, parte del territorio di produzione del Prosciutto di Parma. Questo evento sta generando un considerevole carico di preoccupazioni presso un settore produttivo già estenuato dalla continua minaccia del contagio», ha dichiarato Alessandro Utini, Presidente del Consorzio del Prosciutto di Parma.

In queste zone la diffusione del virus riguarda esclusivamente la fauna selvatica, i cinghiali, e non gli allevamenti. Pertanto al momento non ci sono limitazioni alla commercializzazione dei prodotti, ma le imprese temono di subire ulteriori contraccolpi sul piano dell’export extra Ue.

«Sin dai primi casi riscontrati nella Penisola a inizio 2022, diversi Paesi - Cina, Giappone, Taiwan, Messico, tra gli altri - hanno intrapreso una politica protezionistica, chiudendo il proprio mercato indistintamente a tutti i prodotti a base di carne suina provenienti dall’Italia - ha spiegato Utini - Viene da domandarsi quali scenari attendano l’export del Prosciutto di Parma ora che il virus è riuscito a insinuarsi nella zona tipica».

Occorre precisare che a eccezione di quelle nazioni, che avevano chiuso le loro frontiere già in precedenza, il Prosciutto di Parma continua a circolare regolarmente verso le destinazioni d’esportazione: «Le elevate garanzie sanitarie fornite dalla lunga stagionatura del nostro prodotto permettono di mantenere aperti importanti sbocchi per l’export come gli Stati Uniti e l’Australia - ha aggiunto il presidente del Consorzio - L’unico cambiamento di rilievo riguarderà le esportazioni in Canada, Paese verso il quale le aziende produttrici situate in zone di restrizione II - ovvero quelle in cui la Psa è presente nel cinghiale - non potranno più spedire il loro prodotto».

Cosa dicono le imprese

«Da parte nostra l’auspicio è che tutte le iniziative intraprese dal Ministero della Salute, dal Commissario Straordinario alla Peste Suina Africana, dal Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste e dalle Regioni competenti portino al contenimento ed eradicazione del virus, e a tutti va l’invito a compiere un ulteriore sforzo per raggiungere al più presto questo fondamentale obiettivo», ha concluso Utini.

In sostanza, sbandierando lo spettro di un eventuale fallimento futuro, le aziende e gli allevatori parlano di “emergenza” e chiedono misure concrete, che ipotizzano l’intervento dei militari e spingono nella direzione dell’abbattimento preventivo dei cinghiali: tra questi ultimi, nella zona di Parma, sono stati rilevati 150 casi di contagio e si teme la possibile diffusione del virus tra i maiali, anche se gli allevamenti per ora sono al sicuro.

Cosa dicono le Regioni

Dal canto suo, per salvare il Prosciutto San Daniele, il Friuli Venezia Giulia appronta un piano di sicurezza sanitaria con cui valuta di eliminare 4.000 cinghiali entro l’anno con l’aiuto di esercito e cacciatori. Per i militari sono già in corso le attività di formazione a riguardo.

Manlio Palei, il direttore regionale del Servizio prevenzione, sicurezza alimentare, sanità pubblica e veterinaria, ha spiegato che l’intento è evitare l’ingresso del virus negli allevamenti, perché altrimenti si rischia sia la chiusura del commercio della carne e dei prosciutti per un anno sia il blocco delle esportazioni.

È opportuno sottolineare che a ora il Friuli, già dotato di un piano di depopolamento delle popolazioni selvatiche, non è intaccato dalla peste suina ma prepara una strategia triennale di interventi, come richiesto da Unione europea e Ministero della Salute. La delibera relativa alla riduzione della popolazione degli ungulati è stata proposta alla giunta, mentre continuano i controlli sulla diffusione del virus.

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