Economia

Salute: nel 2023 4,5 milioni di italiani hanno rinunciato alle visite mediche

Lo scorso anno, il 7,6% dei cittadini non ha prenotato servizi e accertamenti sanitari; tra le cause: le lunghe liste d’attesa (4,5%) e gli elevati costi della prestazione (4,2%). I dati del rapporto Benessere Equo e Sostenibile di Istat
Credit: Etactics Inc 
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24 aprile 2024 Aggiornato alle 09:00

Secondo l’ultimo rapporto Bes (Benessere Equo e Sostenibile) stilato dall’Istat, nel 2023 in Italia il 7,6% della popolazione (circa 4,5 milioni di abitanti, in aumento dello 0,6% rispetto all’anno precedente) ha rinunciato alle prestazioni sanitarie ritenute necessarie, come le visite e gli accertamenti diagnostici. Tra le motivazioni principali: le lunghe liste d’attesa (4,5%, tasso quasi raddoppiato rispetto al 2,8% del 2019) e le ragioni economiche (4,2%).

La quota di chi rinuncia alle prestazioni sanitarie aumenta con l’età: si parte dall’1,3% dei bambini under 13 anni fino al picco nella fascia 55-64 anni (11,1%), per poi scendere leggermente nella fascia anagrafica over 75 (9,8%).

Risulta in calo il numero dei medici di medicina generale (Mmg) che dal 2012 al 2022 sono passati da 45.437 a 39.366 unità, mentre il rapporto medici-pazienti è diminuito nello stesso periodo da 7,5 per 10.000 abitanti a 6,8. Conseguentemente, aumenta in maniera significativa il numero di assistiti a carico: il 47,7% dei medici segue più di 1.500 pazienti, raggiungendo livelli record in Lombardia (71,0%). E intanto manca il ricambio generazionale: il 54% dei medici in Italia è over 55.

Contemporaneamente, cala la fiducia nei confronti del personale medico-sanitario: su una scala da 0 a 10 il punteggio medio è passato da 7,3 nel 2021 a 6,9 nel 2023, mentre per il personale sanitario non medico il dato scende da 7,2 a 6,8; inoltre, 1 persona su 5 a livello nazionale ha espresso un punteggio insufficiente per entrambe le categorie.

E, a causa della carenza di personale e delle lunghe liste di attesa, molti sono costretti a spostarsi in altre Regioni per accedere ai trattamenti e agli accertamenti necessari. Nel 2022, l’8,3% dei pazienti residenti in Italia è stato sottoposto a ricovero ordinario “per acuto” (in reparti ospedalieri in cui viene erogata un servizio di riabilitazione in regime di degenza per pazienti che necessitano di assistenza urgente, in 24 ore) fuori dalla propria Regione, dato che resta stazionario dal 2016 a eccezione del periodo pandemico, dove si è registrata una flessione (7,3% nel 2020 e 7,8% nel 2021).

Le Regioni dove sono stati riscontrati i maggiori flussi in uscita rispetto a quelli in entrata sono Basilicata, Calabria, Campania e Puglia; differente situazione riguarda Sicilia e Sardegna: le due isole registrano rispettivamente 7% e 6,7% di residenti ricoverati oltre i confini.

E sempre meno persone riescono a permettersi le cure e gli accertamenti necessari. Secondo i dati Crea (Centro per la ricerca economica applicato in sanità), il 6,1% delle famiglie italiane vive in condizione di povertà sanitaria (ovvero, non riesce a sostenere le spese sanitarie e le cure per motivi economici, oppure si è impoverito per sostenerle): una delle cause principali è legata al reddito, scarso o addirittura assente.

In particolare, crescono le cosiddette “spese sanitarie catastrofiche” (quelle che superano il 40% della capacità economica di una famiglia) che interessano il 2,8% dei nuclei familiari; tuttavia, i dati Oms rivelano come la cifra potrebbe essere decisamente più elevata, arrivando al 9,44%. E, sempre secondo l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, le spese più onerose sono legate ai farmaci (che rappresentano in media circa il 38% dei pagamenti), alle cure dentistiche, ai prodotti medici ambulatoriali e alle cure ospedaliere.

Di conseguenza, cresce anche il numero di persone che si sono rivolte alle strutture assistenziali convenzionate con Banco Farmaceutico: sono state circa 427.000 nel 2023 (+10,6% rispetto al 2022), rivela il rapporto Donare per curare - Povertà Sanitaria e Donazione Farmaci, che ha sottolineato come gli assistiti siano localizzati principalmente nel Nord-Ovest e nel Nord-Est del Paese (rispettivamente 36% e 23% del totale), sebbene occorra notare che al Mezzogiorno e nelle Isole la possibilità di accesso agli enti caritativi è fortemente limitata.

Le famiglie, poi, spendono sempre più in medicinali: nel 2022 la spesa farmaceutica è aumentata di 2,3 miliardi di euro rispetto all’anno precedente, toccando i 22,46 miliardi di euro complessivi, ma il Servizio Sanitario Nazionale ha coperto poco più della metà degli importi (12,5 miliardi di euro), portando le famiglie a spendere privatamente 9,9 miliardi di euro.

Tutto ciò contribuisce all’aumento della povertà. In Italia, secondo il report Bes, la popolazione in condizione di povertà assoluta è aumentata dal 2019, passando da 7,6% a 9,8% nel 2023, complice anche l’ondata inflazionistica, colpendo 5,7 milioni di abitanti di cui 1,3 milioni minorenni. Per quanto riguarda invece gli italiani a rischio povertà, il tasso si aggira sul 20,1%, stazionario sia rispetto al 2022 che al 2019.

Dunque, in Italia sono sempre di più le persone che fanno i conti con la difficoltà ad accedere ai farmaci e alle prestazioni necessarie per la prevenzione e la cura delle malattie, rischiando di impoverirsi o di non riuscire a permettersi i servizi necessari. E la situazione rischia di aggravarsi sempre più, in un contesto in cui la sanità pubblica è sempre più debole, e i cittadini più vulnerabili.

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